Springsteen on Broadway #Springsteen #Broadway

Tassista Cino-coreano a me: Ma è festa nazionale oggi?
– AH guardi, fosse per me potremmo anche istituirlo seduta stante come giorno di muta e commossa riflessione, Springsteen suona a Broadway e io dovrei esservici, però PRECISAMENTE caro polito tassista che qua ci vivi e produci e paghi le tasse, se non lo sai te se è festa, io proprio nin zo.
Anyway.
Frappè noi si va. Siccome io il cellulare lo spengo durante la Messa, non potrò stare a significarvi in pollici e alluci la distanza dal palco dei nostri sedili, né le nostre mises, né genericamente partecipare al solito concorso di avercelotroppolunghismo su chi sia il più veramente fan di tutti gli altri. Fidatevi che ci siamo, ecco. Succeda quel che succeda, peraltro noi non siamo pronti, va detto. Quell’uomo lì ci dirà cose e noi non ce la faremo.

 

 

Springsteen on Broadway #Springsteen #Broadway

“I come from a boardwalk town where almost everything is tinged with fraud.
And so am I. In case you haven’t figured that out yet.”
Incominciamo col dire che così, improvvisamente nel giro di tre frasi scarse, non siamo più in un teatro a Broadway.

New York #NewYork

Un vero newyorkese crede che coloro che vivono altrove stiano, in qualche modo, scherzando.
(John Updike)

A me piace in fondo anche tornare, quei cinque minuti con la famiglia intorno quando tutto il quotidiano sembra così insolito e speciale, prima che ridiventi ordinario e si reimmetta nel corso del MIODDIO tutta qui la mia vita?
Ma mi piace anche partire, e mi piace New York, che era forse la decima forse la undicesima volta per me. Mi piace la prima guglia sparata in alto nel cielo blu, le prime scale antincendio nelle case di mattone, le pubblicità disegnate sui muri di cemento come una volta. Mi piace il primo odore che può essere puzza di propano da uno dei baracchini per strada o l’aroma speziato di una delle infinite squisitezze che preparano. Mi piace la commistione di vetro e cemento, di corde e acciaio, di rosso ruggine e verde ossidato. Mi piace arrivare a New York perchè anche se è la prima volta è sempre come tornarci, in un poliziesco o in un thriller, in un viaggio storico o una commedia romantica, è tutto un set di un film da rivedere con piacere. Mi piacciono le newyorkesi che camminano sui tacchi alti da giovani e su stivaletti coloratissimi da vecchie, con rossetti dai colori incredibili e sciarpe di ogni tipo. Mi piace che New York sia poco ospitale, è così caotica, grande e frenetica che non ha tempo di avere cuore, eppure mi piace perchè trova sempre un modo di esserti amichevole. Mi è piaciuto il professore che ci ha fatto la visita guidata alla New York Public Library con il farfallino e gli occhiali tondi, anche se era tedioso come una lezione di matematica, e gli addetti all’Empire State Building con le divise rosso mattone, le ragazze nere con chiome fiere e biondissime gettate in aria come missili o improbabili grattacieli, mi sono piaciute le signore che hanno fatto il giro con noi alla Grand Central Station, con grandi occhiali e mocassini, gonne di tweed e baschi, collant verdi e maglioni rossi con le toppe. Mi è piaciuto il cielo illuminato a giorno sopra Times Square a mezzanotte, il Flatiron Building con la sua aria antica da vecchio signore con il monocolo e la tuba, l’eleganza del Crysler Building e la foto di Paul Auster che faceva capolino da una delle sale della Biblioteca Pubblica. Mi sono piaciuti il primo bagel e l’ultimo pancake, il locale hipster in cui sono finita per caso alla disperata ricerca di un bagno e la vecchia brasserie in cui vado quasi ogni volta che esco da uno spettacolo a Broadway. Mi piacciono i gruppi di muratori che trovi ovunque seduti nelle loro pause pranzo o caffè, nelle vie per bene e sciccose e in quelle più rottamate, tutti allegri e attenti e stanchi, lavorare nella città che non dorme mai dove c’è sempre un cantiere aperto per distruggere, rinnovare, riedificare. Mi piace perchè anche questo è non dormire mai. Mi piacciono le strade strette e in ombra e quelle aperte in improvvisi abbacinanti sprazzi di luce, la muffa e l’odore di spazzatura, gli ingressi levigati e l’odore buono di caffè. Mi piacciono le vie con i graffiti e i negozietti etnici, i pezzi di artigianato e le scale della metro che se sbagli direzione devi risalire di nuovo per strada e inabissarti in un altro punto dirimpetto. Mi piace che ci siano tutti i diversi tipi di case, l’appartamento strapieno di giovani e il condominio, il palazzo elegante e la casa residenziale di mattoni, il loft moderno e le bifamiliari di certa architettura anni Settanta. Mi piacciono gli artisti di strada e le gallerie d’arte, i mercatini di libri usati e i negozi di vestiti vintage, e il fatto che in qualsiasi ora di qualsiasi giorno della tua vita tu possa comprare qualsiasi cosa ti venga in mente, basta cercare. Mi piace l’incessante sottofondo di un miliardo di suoni sia umani che non umani, il silenzio di certi minimi attimi inaspettati, la ricchezza di cultura a disposizione, l’assurdità di un mare così vicino e intorno. Mi piacciono il divertimento, le luci, la bellezza esteriore e la superficialità; e mi piacciono la profondità dei suoi scrittori, la ricchezza di cognizioni che i suoi musei mettono a disposizione, il desiderio senza vergogna di voler imparare e migliorarsi che trovi a ogni angolo di strada, a ogni insegna di negozio tramandato da padri e figli, a ogni comunità di quartiere con professori volontari. Mi piacciono l’impazienza e la fretta, la celebrazione del punk in certe strade e l’hip-hop che esce dalla radio di ogni locale, le memorie di rock e jazz nei mattoni di ogni strada. Mi piacciono i ricordi di storie gloriose di giornalismo di certi edifici, e del lascito letterario casa dopo quartiere dopo comunità che ci viene tramandato senza soluzione di continuità dal 1800 ai giorni nostri. Mi piace il ricordo che ho della mia unica visita alle Torri, quando ho telefonato a mia madre da una cabina telefonica lassù, dicendole che la stavo chiamando da uno dei grattacieli più alti del mondo e lei mi ha chiesto se sforzandomi gli occhi arrivavo a vederla fino a casa. Mi piacciono i sorrisi in macchina dei miei amici mentre veniamo qui, e il ricordo di tutti quelli che sono stati qui con me negli anni. Mi piace questa città stravagante e unica, che si rallegra del proprio potere e trova orgoglio anche nella propria debolezza, con milioni di persone che vengono qui ogni anno, ognuno alla ricerca di qualche cosa di diverso, e a tutti quella Signora nella baia assicura che troveranno qualcosa. Mi piace, perchè non promette solo libertà: promette speranza, e sarà sciocco, ma che dire, mi piace.

Noi siamo infinito – Stephen Chbosky #StephenChbosky #recensione

“Quindi, immagino siano tanti i fattori che ci fanno essere come siamo. Molti, forse, non li conosceremo mai. Ma, anche se non possiamo essere noi a decidere da dove veniamo, possiamo scegliere la nostra meta. Ci sono altre cose che possiamo fare. Cercando di sentirci a posto.”

Noi siamo infinito (The Perks of Being a Wallflower) di Stephen Chbosky è un libro che trova posto in entrambe le sfide cui mi sto dedicando, la Rory Gilmore ma anche la Disfida alla voce “libro bannato”.

Una volta ho letto che ogni generazione ha un suo romanzo cult di riferimento, a partire da I dolori del giovane Werther passando da Piccole donne al Giovane Holden a On the road fino ad arrivare agli Hunger Games ecc ecc ecc. Ovviamente ci sono alcuni classici che attraversano le epoche, ma qualche libro, quando esce, incarna meglio di altri il periodo di riferimento per i giovani di cui parla.

Questo è stato il romanzo cult della generazione americana dei primi anni ’90, che si è poi evoluta nel fenomeno sociale degli hipster; come tutti i romanzi cult per teen-agers si erge a simbolo di una certa esperienza dell’adolescenza, offre un senso di appartenenza, parla con una certa onestà di argomenti di cui gli adulti non parlano, o dei quali agli adulti non si può parlare, e raggiunge profondamente il tempo di alienazione che molti adolescenti vivono, elevando il protagonista Charlie a simbolo collettivo del grido di sconforto che ogni adulto teme “NESSUNO MI CAPISCE”.

Lo definirei un buon libro, commovente il giusto e scorrevole, il racconto di quella che è, in fondo, la storia di una profonda solitudine. E’ un romanzo epistolare, narrato in prima persona da Charlie, un ragazzino con un trauma infantile, intelligente, timido, introverso; a parte il fratello maggiore, ha sempre avuto un unico amico, che prima di iniziare le superiori si suicida. E quindi Charlie arriva nella nuova scuola completamente isolato, senza conoscere nessuno, e per avere qualcuno con cui sfogarsi comincerà a scrivere lettere a un amico immaginario. La sua vita al liceo non sarà però così brutta, dopo questo avvio doloroso: quasi subito infatti farà amicizia con un gruppo di ragazzi dell’ultimo anno, che nonostante la differenza di età lo accetta senza problemi, sviluppando una profonda e sincera amicizia. Il futuro è incerto, perchè i più grandi partiranno a breve per l’Università e Charlie deve finire anni di scuola. Ma tra musica, un po’ di droga, un poco di alcool, e un altro po’ di sesso, corse in macchina e discussioni nella notte sul tutto e sul niente, la speranza non muore, grazie anche all’aiuto di un insegnante di inglese che prende a cuore in modo particolare l’educazione del protagonista, e Charlie e i suoi amici ci accompagnano in un viaggio di formazione abbastanza piacevole.

Va detto che se fate leggere (e dovreste farlo) questo libro a una persona dai 15 ai vent’anni, ne uscirà probabilmente esaltata, ed è giusto così, perchè parla di cose vitali per quegli anni: l’appartenenza al gruppo, il desiderio di crescere e insieme la voglia di rimanere attaccati alla sicurezza dell’infanzia, unito a una serie di temi importanti e trattati in modo tutto sommato non banale: l’omosessualità, la sessualità in genere e le molestie sessuali, l’abuso di alcool e droga, l’incomunicabilità col mondo degli adulti. Purtroppo la scrittura, proprio quella che per un ragazzo può essere un tratto positivo del libro, così semplice, diretta, senza fronzoli, per un adulto rimane a volte troppo stucchevole, e non tanto riuscita. Charlie è un bel personaggio, a tratti ben caratterizzato, ma non ha evoluzione, nè una vera e propria crescita; e i suoi amici, descritti solo dalla sua penna in queste famose lettere all’amico fantasma, alla fine ne escono solo come nomi, non persone. E i profondi problemi di ansia e instabilità che Charlie attraversa sono tratteggiati in un modo che definire superficiale è già essere generosi, temo.

Nel film che ne hanno tratto, uscito nel 2012, tutti questi difetti sono brillantemente superati, gli attori dei due co-protagonisti li rendono gentilmente vivi e vibranti, e anche certe sbavature di dialoghi e riflessioni nella sceneggiatura sono sistemate, quindi se la storia vi ispira consiglio, per una volta, il film rispetto al libro, secondo me merita davvero.

Il romanzo in definitiva non è imperdibile, ma l’ho trovato una lettura amabile, in particolare per una certa nostalgia canaglia scatenata dal racconto di giovani degli anni ’90, quando i ragazzi si ritrovavano in casa di amici per parlare e ridere ascoltando musica, invece di fissare lo schermo di un cellulare o buttarsi su un videogioco. E poi c’è la simpatia istintiva che genera un protagonista che ama tantissimo leggere. E infine, è bello tornare per un poco al tempo in cui si incidevano musicassette pensando con cura alle canzoni da mettere per la persona a cui erano destinate, uno dei gesti di amiciza o di amore più belli di sempre.

PS. Metto qui un elenco dei libri che l’insegnante di inglese consiglia al protagonista, e di cui si parla, si accenna o si ammicca nel romanzo:

– Il buio oltre la siepe di Harper Lee
– Di qua dal paradiso di F.S.Fitzgerald
– Pace separata di John Knowles
– Peter e Wendy di J.M. Barrie
– Il grande Gatsby di F.S.Fitzgerald
– Il giovane Holden di J.D.Salinger
– Sulla strada di Jack Kerouac
– Il pasto nudo di William S. Burroughs
– Walden (Vita nei boschi) di Henry David Thoreau
– Amleto di William Shakespeare
– Lo straniero di Albert Camus
– La fonte meravigliosa di Ayn Rand